Dachau

Diario di Viaggio
Dachau ha rappresentato una tappa del mio viaggio in Baviera e a Monaco e non è stato facile visitarne i luoghi, che tanto ‘stridono’, in durezza e gravità, tra le esperienze fastose e dorate dei Castelli di Ludwig II.
Conoscevo perfettamente la storia di questo campo di sterminio per via dei numerosi documentari visti e i libri letti in merito, studi svolti per comprendere non tanto lo svolgersi dei fatti accaduti, quanto il Motivo Vero e Profondo di una Barbarie tanto inspiegabile e inaccettabile.
Ma il fatto di camminare laddove quegli eventi si sono ingiustamente snocciolati giorno dopo giorno, per tutti quegli anni, guardare come un qualsiasi spettatore il Teatro dell’infinita crudeltà umana… ha comportato numerose difficoltà e prodotto un unico pensiero:
difficoltà ad affrontare le proprie necessità quotidiane, le proprie sofferenze che al confronto sono realmente poca cosa;
il pensiero poi che una simile esperienza di dolore e di ingiustizia non abbia in realtà fermato alcun altra abominia, non abbia insegnato ed educato l’uomo al rispetto e l’amore verso il prossimo, di qualsiasi estrazione, colore, tradizione e religione sia.
Quest’ultimo pensiero, ricorrente, quasi estenuante, mi ha accompagnato per tutto il viaggio ed è presente anche nel libro delle firme a Dachau… unica testimonianza del mio passaggio.
Mi ha fatto riflettere sull’umanità e sul fatto di quanto sia inspiegabile la sua natura, che in ogni tempo e in ogni luogo la conduce verso l’egoismo, la prevaricazione, il pregiudizio, il razzismo.
Lo so, è una visione pessimista, ma vi assicuro che in me ancora passa una buona dose di ottimismo, nonostante tutto, nonostante l’impatto duro della visita a Dachau.

Storia

Il campo di concentramento di Dachau è stato il primo istituito «ufficialmente» dal regime nazista, poche settimane dopo la presa del potere in Germania. Il campo, derivato dalla ristrutturazione degli edifici e dei terreni di una fabbrica di munizioni in disuso, era progettato, inizialmente, per 5.000 deportati. Esso fu un “campo modello” nel quale furono sperimentate e messe a punto le più raffinate tecniche di annientamento fisico e psichico degli avversari politici,
cioè degli oppositori del regime, ai quali in un primo tempo quel Lager era dedicato come luogo di «rieducazione politica».
I primi ospiti di Dachau furono funzionari e dirigenti del partito comunista.
Poi vennero i socialdemocratici ed i cattolici. Ma quando uno dei prigionieri era anche ebreo il trattamento riservatogli era particolarmente avvilente e letale.
Sin dall’inizio esisteva nel campo una «Compagnia di punizione» alloggiata in una baracca separata dalle altre.
In seguito le baracche divennero due perché la forza di questa formazione speciale era progressivamente aumentata.
In altre parole erano aumentate le sevizie, era diventato più duro il lavoro, insopportabile il regime di vita.
I prigionieri venivano stroncati dalla fatica ma altri subirono l’inumana pena del bunker, dove molti languirono per mesi (se non soccombevano prima) incatenati, alimentati con pane ed acqua o costretti a stare in piedi, dentro cubicoli di cm. 60 x 60, senza luce né aria.
A Dachau i nazisti affidarono la gestione interna del campo agli stessi deportati.
Trattandosi di un campo a prevalente presenza di prigionieri politici, fu facile per loro trovare un comune linguaggio – quello dell’antifascismo – fra uomini che, man mano che l’invasione nazista si espandeva a macchia d’olio sull’Europa, venivano rastrellati nei loro paesi ed avviati a Dachau.
In breve tempo Dachau fu una vera Babilonia: tedeschi, austriaci, russi, polacchi, francesi, italiani, cecoslovacchi, ungheresi vissero insieme, dividendosi la fatica, le umiliazioni, la violenza degli aguzzini.
Ma fu anche sede di infami esperimenti pseudo-scientifici, i soliti esperimenti che avrebbero dovuto far conoscere i modi per salvare la vita ai combattenti del Terzo Reich, ma che costarono la vita a centinaia dei suoi oppositori.
Progettato originariamente ed attrezzato per ospitare al massimo 5.000 detenuti, ad onta di successive estensioni e ramificazioni in innumerevoli sottocampi, il Lager fu sovraffollato al limite tale che tre persone dovevano dormire nello stesso letto, servirsi degli stessi impianti igienici, dividere il poco e pessimo cibo.
Non è ancora stato possibile stabilire esattamente il numero dei morti di questo campo cui si attribuisce il triste primato di durata e di insopportabilità del regime di detenzione.
L’anagrafe del campo ha registrato circa 45.000 decessi, ma questa è sicuramente una cifra irrisoria di fronte alla tragica realtà di Dachau.

tratto da www.deportati.it

Ubicazione: Nelle Vicinanze di Monaco. Germania.



Il Cimitero di Staglieno a Genova

Diario di Viaggio

La visita a questo luogo, talmente suggestivo ed etereo, fa quasi dimenticare per un istante di essere in un cimitero poichè si presenta, nella fulgida bellezza di marmi abilmente scolpiti in uno scenario che spezza il fiato, come un vero e proprio Museo d’Arte.
Uno strano rapporto lega Staglieno ad uno degli storici gruppi New Wave Inglesi, i Joy Division
(1977-1980; Ian Curtis, Peter Hook, Bernard Albrecht, Steve Morris).

Il gruppo, che nasce nel 1977 a Manchester, lascerà un segno indelebile nella scena musicale inglese soprattutto per la figura del suo leader Ian Curtis, suicida a 23 anni, che scelse due fotografie in bianco e nero di statue neoclassiche di Staglieno per le copertine di due suoi lavori. Un bellissimo angelo viene scelto per la copertina del singolo “Love we tear us apart”, uscito poi nel 1980.

La seconda copertina e’ quella di Closer, secondo lavoro su LP del gruppo, uscito postumo dopo la morte di Ian Curtis, che ritrae invece una deposizione sul compianto morto. Le due opere sono realizzate dagli scultori D.Paernio e O.Toso.

Storia

Aperto nel 1851, il Cimitero di Staglieno si è sviluppato rapidamente fino a raggiungere gli attuali 18.000 metri quadrati. Contiene anche un cimitero inglese, uno greco-ortodosso ed uno ebreo. Il più famoso attore genovese, Gilberto Govi, è sepolto qui.

Il primo progetto per l’area cimiteriale di Staglieno e’ del 1835 : da questa data in poi il cimitero inizia un’espansione sempre più disordinata dettata soprattutto dall’espansione della città di Genova. Staglieno e’ un’antologia di neo-stili.
Il neoclassicismo tardo investe generalmente i monumenti più antichi, con qualche preferenza per
l’aristocrazia o i personaggi pubblicamente altolocati. Avrà però vita breve, per lasciare il posto ad un realismo quasi fotografico apparentemente solo puntiglioso, ma forse molto più sincero e pungente di quel che non si pensi.

Parallelamente si scatenano il neogotico, romantico e fiorito, il neobizantino sontuoso, il neorinascimento secco e decorativo, il neoegizio, l’umbertino, il liberty che, più raro di quanto comunemente si immagini, ha lasciato una vena di poesia. Appena entrati dal maestoso ingresso che si affaccia sul fiume Bisagno
ci troviamo difronte alla “Statua della Religione” opera dello scultore Santo Vanni (1866); dietro l’imponente scultura ci appare il “Tempio dei Suffragi”, una copia in picco del Pantheon di Roma già presente nel progetto originale del Barabino (1835). Davanti ai due lati i “Campi di Terra” con pietre tombali e piccole lapidi, quindi l’inizio delle gallerie o corridoi, veri e propri rifugi di opere Neoclassiche della nobiltà genovese. All’interno di esse troviamo i più bei esempi dell’arte funeraria italiana della fine dell’800, marmi quasi vivi ricoperti ormai da un spessa coltre di polvere, segno del tempo e dell’incuria, che contraddistingue tutto il Cimitero.

Ubicazione: Zona di Staglieno, Genova

Collezionando Bellezza

Collezionando ostinatamente Bellezza di cui ormai scarni frammenti
persistono tra gli orridi likes di una vita apparente

prodigiosamente spezzo le corde tenaci dell’assuefazione.

Riscopro quasi sotto shock quanto in fondo sia semplice
sintonizzarsi nuovamente alle naturali frequenze
e cosi’ lascio che i sensi si acuiscano,
lascio che il corpo liberamente si muova

ed i pensieri respirano, snodandosi leggeri.

Un nuovo mondo s’apre, scalciando pareti e confini.
Sfumano tutte le strade fino a svanire.
Arcane melodie rammentano al cuore d’esser vivo.
Solo appare un infinito cerchio attorno cui volteggiare.

Bellezza m’ispira armoniosa,
snocciolando passi di terre soffici,
parole di luce sfavillante,
gesti d’arte libera,
che sfidano ora il volo.

© 2024 Cristina Corti

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Precipita la notte

Rincorro i passi affrettati nella radura,
scostando i rami del dubbio
che altrimenti spezzerebbero le mie certezze.

Inseguo i suoni ripetuti della voce
che mi avvolge morbidamente,
più calda di filati preziosi.

Inseguo le tracce, lasciate nitide dal vento,
imbattendomi d’un tratto nella tua essenza,
che ammanta la mia pelle,
come la leggera foschìa fa con il vespro.

Inseguo i battiti concitati del tuo cuore,
che corrono attraverso fronde, sassi, il guado del fiume,
la nube di pioggia,il raggio di luna e gli specchi d’acqua.

Mi fermo a placare il respiro
e nel silenzio del mio forte ansimare
mi sorprende la resa dei tuoi occhi.

[Selezionata per l’Antologia Habere Artem
Vol. VII – Aletti Editore]

© 2000 Cristina Corti

Con le mani

Con i palmi aperti delle mani
accarezzo le resine
che impregnano le dita delle loro essenze.

Sgorgano dalla ruvida scorza degli anni
sino a me e alle radici del tempo.

Nello scorrere s’induriscono
abbandonandosi all’aria sferzante,
ma senza perdere nulla del loro dolce effluvio.

Nella loro dolcezza riscopro la mia intimità,
la morbidezza delle sensazioni,
che sconfiggono la ruvidità degli eventi.

Il cuore della Natura sussurra il mio nome,
mescolandolo ad ogni sua foglia e petalo,
in quel momento complice.

Al di là del tempo.

Nel silenzio delle mie carezze.

Antologia ‘Poetici orizzonti’, distribuita dalle Librerie Feltrinelli

© 2005 Cristina Corti