Aspirapolveri, Cellulari, Social Media, Metaverso

Premessa Per Nulla Superflua:
Lungi da me l’intento di demonizzare la presenza di cellulari e social media nella nostra quotidianità dal momento che sicuramente fanno parte dell’evoluzione tecnologica volta al progresso e la facilitazione delle attività umane.
Inveire su questi strumenti della comunicazione moderna non avrebbe senso per quel che mi riguarda per due ragioni:
1) Mi considero un’accanita appassionata di tutto ciò che internet può offrire per estendere le mie già innumerevoli curiosità. La sfrutto gioiosamente dal suo Pleistocene quando in effetti scoprivamo, con entusiasmo pionieristico, la bellezza di una pagina html, il gioco di ruolo o il chatto su ICQ (il tutto con stratosferiche bollette telefoniche).

2) Nel caso in cui scegliessi di demonizzare Instagram, Twitter ed affini calamiterei
tutti gli insulti del cosmo internettiano e sinceramente non sarei neppure credibile dal momento che anch’io mi sono prestata al loro uso creando un profilo, giusto per spulciare un po’.

Detto ciò torniamo a bomba senza spararne alcuna, provando ad esprimere qualche pensiero che mi sovviene istintuale.

Il fatto che esista l’aspirapolvere non significa che questa debba diventare una nostra appendice al punto tale che aspirare sporcizia diventi non solo la nostra attività primaria ma quella che inevitabilmente non ci consente più di interagire con il mondo esterno, isolandoci così tanto da non avere più rapporti di comunicazione nemmeno con chi è difronte a noi, anche fosse il primogenito sul passeggino che si sta strozzando con una merendina.

D’accordo il telefonino non è un aspirapolvere ma, se lo fosse, almeno avremmo per le vie della nostra città la constatazione di un mondo più pulito, invece che assistere ad alveari di zombies che a capo chino camminano noncuranti di bambini, semafori, parcheggi e traffico, lentamente zigzaganti in mezzo ai propri simili che fanno ahimè altrettanto e con cui mai troveranno occasione d’un saluto, una parola, un discorso, un gesto.

Voi direte che è la solita polemica qualunquista di chi si erge alla critica dall’alto
d’un comportamento elitario.

Non è così…. perchè il comportamento dello zombie è subdolo, colpisce chiunque, anche la sottoscritta, sebbene tenti quotidianamente di tenere la barra dritta.

E’ difficile la distrazione da un’appendice connaturata ormai all’essere umano ma non si capisce come possa calamitare l’attenzione assolutamente più che qualsiasi altra parte del corpo, fagocitando ogni altro genere di bisogno e dilungando erroneamente tempi e spazi altrimenti misurati e controllati.

Ne derivano rischi seri molto simili a ciò che avviene anche all’interno del Metaverso virtuale che sebbene sia dal punto di vista creativo e formativo un eccellente strumento, nasconde in sè considerevoli insidie nella percezione dello spazio e soprattutto del tempo, come accade nell’assuefazione ai videogiochi.

Faccio un esempio: Il tempo che si passa all’interno di un mondo virtuale o davanti a un videogioco, se non accompagnato da un’ottima dose di consapevolezza e cautela, tende a produrre assuefazione e dipendenza e si dilata talmente tanto che 8 ore sembrano una mezz’ora.

Come ovviare alla metamorfosi dello zombie?
La soluzione non è difficile da scovare ma è piuttosto arduo metterla in pratica.

E’ la filosofia del Giusto Mezzo con l’ausilio dell’intelligenza che sa modularsi supportata dalla cultura e l’esperienza, riuscendo a dosare l’utilizzo degli strumenti senza abusarne, senza togliere nulla al proprio TempoVita (esigenze quotidiane, relazioni interpersonali, studio, lavoro, svago, attività fisica).

La conoscenza approfondita del mezzo è sempre molto utile e si acquisisce con il tempo e prima di essa è importante consigliare l’attenzione e la cautela quando si ha la modestia di considerarsi neofiti.

Ciò che noto, nella varia umanità e genericamente per qualsiasi generazione, è l’assenza del balance tra l’uso di cellulare e social media e tutto il resto, come se prima dell’avvento di questi strumenti non ci fosse stato alcun modo per comunicare agli altri ciò che siamo fisicamente, caratterialmente, professionalmente, sentimentalmente.

Che poi, al di là di chi gestisca palesemente in modo delirante cellulare e social media, siamo realmente certi che essi migliorino la comunicazione tra coloro che invece riescono a razionalizzarne l’utilizzo?

Può sorgere il dubbio che essi tolgano spesso la possibilità di una reale conoscenza
fatta di sguardi, posture e gesti vis-à-vis, con una comprensione alchemica, empatica che altrimenti difficilmente potrebbe manifestarsi?

Nel 2024 poi è ancora possibile la rivendicazione della propria privacy per la quale
risulta fastidioso che tutto possa essere ascoltato e spiattellato in ogni dove attraverso una banale videochiamata o chiacchiera in vivavoce?

Una vita talmente spiata, intercettata, tracciata, ovunque ascoltata, fotografata, ripresa in video, consapevolmente o inconsapevolmente, ha ancora il valore che aveva in precedenza in termini di sicurezza, protezione, riservatezza, ma anche il semplice desiderio di ognuno di rivendicare la propria assenza dall’ormai obbligatoria onnipresenza telefonica, quando se ne sente l’esigenza?

Le mie sono solo riflessioni finalizzate a non accogliere tutto quello che giunge dal progresso o da altri frangenti senza il nostro approfondimento di conoscenza e senza la nostra mediazione intelligente che sempre dovrebbe fare da filtro.

Ma la domanda più pertinente e curiosa di tutte è:

quale fattore gioca un ruolo fondamentale nel rendere così complicato il fatto di dosare il tempo dedicato al cellulare? Cosa lo rende tanto appetibile, magnetico, irresistibile?

Per quale motivo lo zombie non riesce assolutamente a distrarsi dall’accenderlo e smanettare anche quando sta bevendo, mangiando, parlando con una persona difronte, mentre lavora, etc etc (uso l’etc per omettere l’allusione alle situazioni più assurde ed avvilenti).

Per quale motivo un cellulare o un social media non possono in effetti essere paragonati ad un aspirapolvere?

In effetti con un aspirapolvere al momento non è possibile interagire con altre persone distanti da noi, non è possibile accedervi per avere informazioni, posizioni geografiche, ordinare un delivery, effettuare un pagamento, inviare email.

Ma davvero il cellulare è diventato tanto fondamentale alla stregua d’una mano o un braccio?

Ahimè ogni mia riflessione conduce inevitabilmente alla constatazione che l’uso di cell e social media abbia al di là di tutto un solo comune denominatore attorno il quale si catalizzano tutti i pensieri, al punto tale che perdiamo di vista il traffico stradale, il semaforo, il bambino nel passeggino che si strozza con la merendina, il datore di lavoro che ci intima qualcosa e nemmeno lo ascoltiamo, la mamma che ci chiama, la moglie che ci dorme a fianco, l’insegnante che richiama la nostra attenzione, etc etc
(omettendo tutte le situazioni in cui Pericolosamente si utilizza il cell).

Questo comune denominatore, accentratore di tutte le umane vicissitudini al cellulare e social media, assolve pienamente ad una delle attività umane che di progresso tecnologico ha ben poco ma che è senza dubbio fra le più antiche e irriducibili come respirare, nutrirsi, camminare:

*Farsi i Fatti degli Altri*.

Possiamo anche rivendicare che questa sia un’attività piacevole, possiamo anche menzionare il pettegolezzo e il gossip che da sempre hanno vivacizzato dal salotto di casa al baretto in strada fino agli epistolari ed i giornali e chi piu’ ne ha ne metta… ma resta il fatto che,, nel 2024 e grazie al progresso tecnologico,, sprechiamo preziosa quantità del nostro TempoVita smanettando su Facebook ed Instagram per guardare foto, viaggi, esperienze, incontri altrui, veritieri o no.

Allora mi chiedo:

Quale valore diamo alla Nostra Vita che ha un tempo limitato su questa Terra?
Quale valore diamo alle persone che ci circondano?
Quale valore diamo ad uno sguardo?
Quale valore diamo al desiderio di un’attesa?
E all’incontro fortuito?
E ad una chiacchiera vis-à-vis?
E…………………………………

Il Sistema e le sue Catene

Il sistema e le sue catene ci attendono ancor prima di nascere e crescendo, ovunque andiamo, qualsiasi cosa facciamo, in qualunque modo interagiamo con il mondo, dobbiamo fare i conti con regole, obblighi, compromessi, calcoli, numeri che la società ci impone e che ci costringe ad accettare, anche quando pensiamo di essere assolutamente sregolati, o liberi, o leggeri, o distanti da qualsiasi genere di coercizione.

“L’unico modo per sfuggire alla condizione di prigioniero è capire com’è fatta la prigione”.
(Italo Calvino)

Siamo appesi ad un filo? No… peggio…. ad un gancio freddo e nero da cui si dipartono grandi catene dello stesso tetro colore che senza tregua, senza alcuna remora, senza alcuna compassione si ramificano, avvolgono e serrano strettamente.

Le gabbie, le catene e gli ingranaggi sono innumerevoli in quest’era post industriale ed attanagliano, soffocano la nostra esistenza anche se tentiamo con tutte le nostre forze di mantenere la nostra linfa vitale, i nostri desideri, il nostro istinto, i sentimenti e le sensazioni.

Il sistema è sempre in agguato anche quando crediamo di averlo scansato e non ci consente di parlare come vorremmo. Di ascoltare come vorremmo. Di guardare come vorremmo. Gli ingranaggi e le catene, nel loro costante funzionamento, avvolgono e stringono il corpo ed i suoi organi vitali, perfino la voce, per non dare all’umanità nemmeno l’opportunità di comunicare. Le estremità sono ancorate al terreno e non consentono alcun passo ed alcuna autonomia.

Il deserto delle libere sensazioni?! E’ preferibile non parlare, non vedere nulla e non ascoltare nulla? E’ preferibile accettare il sistema (Ricordate Matrix?) e fingere d’essere liberi ed indipendenti?

Come poter annullare le catene e consentire all’innocenza ingabbiata di poter involarsi all’esterno, nel mondo libero? E’ Sogno, Utopia, Irrealtà?

E’ difficile pensare di poter costruire un tempo ed un luogo terreni dove l’uomo sia veramente libero dagli ingranaggi soffocanti del sistema che lo stritolano al punto da non avere più alcuna autonomia e libero arbitrio. Qualcosa o qualcuno che possa riscattare la purezza dell’innocenza e la libertà delle nostre sensazioni in quest’era di forte corruzione ambientale e sociale, di sistemi economici e politici che ci costringono a ruolo di gregge mansueto e silente senza alcuna autonomia e potere decisionale.

“È difficile liberare i folli dalle catene che essi stessi venerano.” (Voltaire)

Credo che in questa frase possa nascondersi la Chiave e la Risposta alle molteplici domande.

Se non la Soluzione, almeno uno Spiraglio di Luce che, tra le difficoltà, possa lasciare intravedere la giusta strada da seguire.

Io e Salvador

Sono un’estimatrice accanita di Salvador Dalì da molto tempo e a causa sua 😛 ho intrapreso innumerevoli viaggi esplorando luoghi a lui congeniali o legati alla sua vita così avventurosa e creativa.

Essere appassionati del suo estro creativo significa lasciarsi abbracciare da un mondo che racchiude innumerevoli stili, tematiche, terre, tradizioni ed epoche e che
nello stesso tempo sa annullarli o superarli andando sempre decisamente Oltre, meravigliando, stravolgendo, scioccando. Quando sembra aderire ad un’idea, in un istante fugge via, sapendo creare, accogliere, diffondere per poi abbandonare tutto e creare altro, sempre nuovo, sempre dirompente, sempre trascinante.

Se si vuole approfondire il mondo di Dalì non resta che attraversare la Catalogna e immergersi nella sua Figueres ( diceva che poteva essere stata disegnata dallo stesso Leonardo per quanto fosse bella e perfetta) per capire quanto lui fosse intriso della sua terra (si dice con la passione di un cartografo), del suo cibo, della sua tradizione culturale, territoriale, perfino religiosa oltre che artistica.

Come non evocare la costruzione grandiosa del suo Museo a Figueres da lui stesso ideato per la sua città: * Voglio che il mio museo sia come un blocco unico, un labirinto, un grande oggetto surrealista. La gente che lo visiterà se ne andrà con la sensazione di aver fatto un sogno teatrale*, diceva. Il suo museo, inaugurato nel 1974, è l’accumulazione, la plenitudine, il tutto della sua arte. E’ il teatro della
memoria, pieno di allusioni alla vita e all’opera dell’artista. Ultralocale e Universale al tempo stesso.

Parliamo di Salvador.

Inizialmente è un esploratore inquieto, estremamente sensibile alla scoperta della natura, del territorio, della varia umanità. Dall’uomo anziano che passeggia sulla strada con le stampelle, alla villa della cantante d’opera Maria Gay arredata dei dipinti dell’impressionista francese Ramon Pichot. Dai campi di Figueres ai suoi boschi, dalle casette bianche di Cadaques agli uliveti argentati, la linea di mare blu, le mucche e le oche, le formiche giganti di Cap de Creu, il pane, le uova ed il vino dell’Empordà.

Sorprende constatare come l’artista registrasse e prendesse nota del mondo in cui viveva con una precisione documentale straordinaria. Questa idea di catturare il paesaggio in modo quasi maniacale servirà da fondamento quando abbandonerà l’impressionismo e l’esaltazione romantica e tutte le sperimentazioni (altresì nel futurismo, divisionismo, cubismo, etc) per trasformare la natura dei suoi luoghi nello sfondo magnifico ed enigmatico dove proiettare immagini doppie, architetture immaginifiche, allucinazioni e figure contraffatte, effetti illusionistici. In questa innovativa rappresentazione della sua terra includerà anche la fauna locale: farfalle, asini, rondini, formiche, mosche, cavallette che invaderanno i dipinti di connotazioni criptiche.

*Quando creo un’opera, copio assolutamente nel modo più onesto e fotografico una della mie visioni * Dalì.

Ad evolvere il destino di vita e d’arte contribuirono notevolmente la frequentazione con il grande amico Lorca con il quale condivise vacanze meravigliose, esplorazioni ed arte e quindi Luis Bunuel e le idee surrealiste incentrate sul concetto di Sogno e Inconscio (Psicanalisi-Freud) e quindi l’incontro con Gala nel 1929 la cui apparizione lo sconvolse fin dall’inizio come qualcosa di dirompente ed illuminante.
Nel 1931, influenzato dalla fisica di Einstein, dipinge La Persistenza della Memoria nella quale l’orologio, che in modo disciplinato e rigoroso scandisce la vita ed il tempo, si manifesta per quello che è realmente: deformato e molle si scioglie sugli oggetti rivelando la propria precarietà ed il relativismo. Permane la Memoria vittoriosa sul tempo.

Nasce e si evolve una pittura che, sposando le teorie del Surrealismo, permette a Dalì di sprigionare e concretizzare tutta l’immaginazione e così, rompendo i freni inibitori della coscienza e permettendo all’inconscio di esprimersi anche nei suoi aspetti più profondi, torbidi e deliranti (Paranoia), porta alla luce tutta la passionalità, le pulsioni ed i desideri attraverso immagini di sogno ed allucinazioni. Si esprime un meraviglioso connubio tra fantasia e virtuosismo tecnico.

Il suo Museo nasce dall’idea di creare una struttura che sia un tuttuno con la sua arte, anche derivata a mio avviso dalla sua concezione di casa e residenza concepite come propria massima espressione e nello stesso tempo luogo protettivo alla stregua di un guscio e luogo-atelier dove lavorare alle sue opere, anche raccogliendo tutte le esperienze possibili e tutti gli oggetti possibili. (Il cattivo gusto è creativo, il buon gusto è sterile, diceva).

L’idea del Museo è incentrata sul concetto di festa dionisiaca in cui ritroviamo il Dalì surrealista insieme a quello simbolista, scenografico, mistico, provocatorio, appassionato della scienza e della religiosità ma anche il Dalì nella sua interezza, nel suo mare, nella luce della sua terra, nella sua ironia, nei suoi colori.

Rappresenta l’essenza di Dalì nella sua complessa interezza, l’eredità del suo estro creativo che si tramanda costantemente senza una fine a tutti coloro che ne vogliono fruire scoprendone non solo la parte geniale ma anche quella umana e sentimentale altrettanto ricca ed intensa.

Riflessioni d’Arte sul Bauhaus

Ogni occasione è utile ed interessante al fine di approfondire l’Arte e sicuramente alcune visite interessanti ad esposizioni d’arte in diverse parti d’Europa mi hanno lasciato molti spunti di riflessione a proposito del celebre e stimolante movimento d’arte del Bauhaus nelle sue accezioni più vicine al design, la pittura, il teatro e la danza.

Vorrei soffermarmi sulle idee rivoluzionarie che il Bauhaus è riuscito a portare nel settore dell’arte ma non solo. Intanto vediamo di che si tratta nel dettaglio.

Il Bauhaus (Termine composto da due parole, costruzione e casa) è stata una scuola d’arte ed architettura a partire dal 1919 a Weimar in Germania, fondata da Walter Gropius, poi trasferita nel 1925 a Dessau dove operò fino al 1935, fortemente osteggiata dal regime nazista per i propositi innovativi ed internazionali.

Ispirata dalle innovazioni della Rivoluzione industriale inglese ed i suoi successivi profondi cambiamenti verso i nuovi sistemi produttivi e sociali, istituì in effetti nuove modalità di insegnamento ed apprendimento con la finalità prioritaria di eliminare la distinzione tra artista ed artigiano per il conseguimento della “costruzione completa, traguardo finale delle arti visive”.
Una sorta di movimento assolutamente rivoluzionario e moderno basato su idee costruttive, razionali e funzionali.

Sull’onda dei radicali cambiamenti post rivoluzione industriale si delineava la necessità di improntare una nuova formazione artistica e professionale dell’allievo, cercando di coinvolgerlo anche nelle fase progettuale delle arti.

A questo scopo non più un forte distacco tra insegnante ed allievo ma un rapporto stretto, costruttivo e democratico attraverso il quale vi era la cura e l’attenzione alla conoscenza della materia e della sua lavorazione, mèta obbligata ancora prima della profonda conoscenza della storia dell’arte.

All’interno della scuola vi erano numerosi laboratori a questo scopo, presieduti da forti personalità chiamate da Gropius a supportare questa sua visione dell’insegnamento: J. Itten (Corso preliminare), L. Feininger (incisione su legno), G. Marcks (ceramica), A. Meyer (architettura), G. Muche (arte tessile), P. Klee (arte vetraria), O. Schlemmer (scultura), V. Kandinskij (pittura murale), L. Moholy-Nagy (metalli) e L. Schreyer (teatro). A questi poi successivamente si unirono
altri eminenti professori tra cui lo stesso Mondrian (esponente del De Stijl di .Theo van Doesburg, movimento artistico basato sull’astrazione, la geometria delle forme ed i colori primari).

La scuola di Gropius, supportata nei primi anni dall’ambiente industriale dell’epoca, riuscì ad influenzare mentalità, letteratura, architettura, design, teatro producendo testi, ispirazione e realizzazioni che presto riuscirono a varcare i confini e tuttora sono in costante realizzazione in tutto il mondo.

Nel 1928 Gropius lasciò la scuola, sostituito da Meyer ed in seguito da Mies van der Rohe fino al 1931 con successivi tentativi di restaurazione, nonostante il forte ostruzionismo del regime, a Berlino e negli Usa a Chicago, con l’organizzazione negli anni di numerose esposizioni a New York, Parigi e Monaco.
A Berlino dagli anni ’70 esiste una importante collezione del Bauhaus con creazioni provenienti da tutto il mondo ideata dallo stesso Gropius, una sorta di archiviazione e documentazione storica della scuola e del movimento.

Le idee e le aspirazioni di questo incredibile movimento artistico hanno prodotto nel tempo creazioni artistiche, oggetti di design, testi letterari e perfino rappresentazioni teatrali.

Basta evocare il famoso Balletto Triadico del Bauhaus, Triadisches Ballett, ideato da
Oskar Schlemmer e inscenato per la prima volta nel 1922 a Stoccarda. Evidenzia un importante lavoro di estetica e di nuova filosofia di vita, nelle quali l’uomo è rappresentato alla stregua di una macchina e tutto il palcoscenico è incentrato sulle idee del meccanicismo e dell’astratto geometrico attraverso colore, forma, suono e movimento.

All’interno del Bauhaus e in particolare in questa nuova reinterpretazione creativa della danza e del teatro vi è la profonda e viva testimonianza del rinnovamento sociale, ideologico, economico ed artistico di quel tempo, mosse dal radicale stravolgimento industriale e dalla necessità di far i conti con l’idea della tecnica e del meccanicismo.

Il modo profondo e radicato con cui il Bauhaus ha influenzato tutto il mondo dell’arte, del design, del teatro, dell’architettura e della cultura si evince in ogni suo respiro creativo, finalizzato ad uno splendido risultato meramente produttivo e creativo, attraverso gli oggetti e gli arredi più disparati, il modo di muoversi e di concepire gli spazi, il modo di disegnare e dipingere, il modo di concepire l’astrattismo nei colori e nelle forme, il modo stesso di concepire tutto un periodo storico di forte cambiamento e di stravolgimenti sociali, economici e politici.

Ogni sua forma creativa racconta di quanto il Bauhaus abbia saputo imporsi e radicarsi, in anni sicuramente non facili per l’arte e la cultura, nelle menti creative del suo tempo e molto oltre, portando sconvolgimento, rinnovamento ed ispirazione.

La mia Personale Immersione in Mitoraj

(Esposizione Virtuale Permanente di Sculture, Poesie, Video ed Immagini sulla figura di Igor Mitoraj e la sua produzione artistica su Second Life all’interno del Progetto d’Arte *Plusia* dal 2007)

Ubicazione: Second Life

Indirizzo: http://maps.secondlife.com/secondlife/Moonville/70/60/21

Questa Esposizione vuole essere semplicemente un mio personale omaggio ad uno Scultore che amo visceralmente.

Pur essendo non un artista ma un Genio dell’Arte mi sono resa conto di quanto sia conosciuto non esattamente come meriterebbe e così è nata l’idea di ricordarlo e di approfondirne la creatività in questo mio omaggio nel Metaverso.

L’Esposizione consta di diverse parti. Mi sono divertita a creare alcune sculture lasciandomi trasportare dalla giocosità e dal desiderio di ripercorrere la sua arte.

Immersione non vuole essere una mesta commemorazione ma un abbraccio gioioso ed un ringraziamento per l’emozione che Mitoraj ha prodotto nella mia vita e nei miei approfondimenti d’arte.

    Sono partita da una sua grandiosa esposizione alla Valle del Templi di Agrigento datata 2011. Un connubio perfetto tra architettura ellenica dorica e la sua scultura. Un’armonia unica ed irripetibile fra Arte del Passato, Arte Contemporanea e Natura.

    18 Sculture monumentali quelle posate sulla Valle. Viste nelle foto, sembrano esserci sempre state. Scovate fra le macerie e rimesse al loro posto. Invece sono vestigia dell’oggi, modellate in visi e corpi bendati che si profilano fra pezzi di cielo. * E’ la bellezza estetica classica che si scontra con la corruzione moderna ed eroicamente sopravvive, sebbene prostrata e ferita *.

    Come leggere questa mia esposizione? Non lo so. Rappresenta unicamente un Omaggio ed un Contributo affinchè anche solo una persona che non abbia mai visto una Sua scultura possa giungere alla curiosità di approfondirne la smisurata creatività. Lo studio delle forme classiche calate nell’era moderna cosicchè la bellezza dell’estetica entra in conflitto con la nostra umanità lacerata e corrotta. E’ l’uomo avvolto nelle bende. E’ l’ala spezzata. E’ il braccio mutilato.
    Sono le forme piene e quelle svuotate. Sono gli sguardi che si rincorrono e quellli che si perdono.

    Nell’Arena avrete l’opportunità di visionare un Video che ricalca le emozioni dell’Esposizione alla Valle dei Templi. Alcune Foto desiderano mostrarvi alcune delle realizzazioni scultoree di Mitoraj.

    Lo Scultore nasce nel 1944 a Oederan, in Germania, ma vive a Cracovia da madre polacca. Studia pittura all’Accademia di Belle Arti seguendo corsi tenuti da Tadeusz Kantor e tiene qui la sua prima mostra personale di pittura presso la Galerie Krzysztofory.

    «Fuggi, vattene, scopri il mondo, trova tuo padre». Così lo incitava la madre Zofja. Via, fuori dalla Polonia e dalla morsa sovietica per dar la caccia al futuro e ritrovare il passato. Era il ‘68, fu Parigi, il Mediterraneo, il Messico, la Grecia.

    Nel 1968 si trasferisce a Parigi e qui si iscrive al’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts. Nel 1970 si reca in Messico e vi trascorre un anno durante il quale cresce la sua passione per la scultura. E’ del 1976 la sua prima personale da scultore, a Parigi nella Galleria La Hune, e nello stesso anno apre nella capitale francese uno studio per realizzare opere in terracotta e bronzo.

    La ‘scoperta’ del marmo arriva per Mitoraj nel 1979, quando si reca per la prima volta a Pietrasanta, in Toscana, a ridosso delle cave che forniscono il marmo di Carrara. A Pietrasanta aprirà poi uno studio nel 1983 e nel 2001 diventa cittadino onorario della località toscana.

    Verso Pietrasanta, da lui ribattezzata Piccola Atene, nella quale si era fatto apprezzare da tutti non solo per la sua creatività indiscussa ma anche dalla sua cordialità (veniva salutato con la parola Maestro) negli ultimi tempi aveva maturato un atteggiamento critico e severo per via dello sviluppo turistico del paese che aveva reso l’atmosfera ed il vivere non più accogliente ed ospitale come un tempo.

    Diceva: *Quando sono arrivato c’era solo un vecchio albergo scalcinato, sei letti per camera e senza acqua calda. Ci siamo passati tutti. Io, Botero, Finotti, Yasuda, Ciulla, Fonseca, volevamo diventare scultori nella città della scultura*.

    Per un po’ è stato così. «Fino a qualche anno fa in centro si sentiva ancora il rumore degli scalpelli, le stradine erano impolverate di statuario. Adesso ci sono 58 bar e ristoranti e 40 gallerie in poche centinaia di metri».

    Igor Mitoraj conservava ancora quell’istinto alla fuga. Così ogni estate se ne andava da Pietrasanta, il borgo trecentesco di arte e artigiani in cui è approdato «apprendista» trent’anni fa.

    *Vado in Provenza, passo là le vacanze. E quest’anno, però, avranno un sapore diverso. Pietrasanta non la riconosco più. Sì, si può dire che cerchi un rifugio. Non dallo stress ma dal turismo di massa e dal mare che non si vede, tappato com’è da autostrade di ombrelloni che violentano le spiagge e i tramonti.
    Una mangiatoia per turisti. È diventata carissima, gli artisti sono stati costretti all’esodo, e Pietrasanta ha estromesso se stessa. *

    Come molti hanno detto è stato uno scultore grandioso ed originale ma anche una persona dalla forte sensibilità e di grandi valori umani. Le sue opere sono presenti nei maggiori musei e gallerie di tutto il mondo, da New York a Tokyo.

    Partendo da un legame profondo con l’arte classica Mitoraj mette al centro delle sue riflessioni l’essere umano con tutta la sua forza e le sue fragilità. Le forme classiche sono calate nell’immediatezza nell’età contemporanea rivelandone tutte le contraddizioni e la precarietà.

    Lui stesso diceva: “Vivo dell’oggi e questo è il mio modo di raccontarlo”.

    “Con Igor Mitoraj – ha detto la sovrintendente del polo museale fiorentino Cristina Acidini – scompare la figura unica di un grande artista del nostro tempo che, attingendo alla creatività profondamente colta delle origini mitteleuropee e della formazione parigina, ha saputo creare un mondo parallelo in cui, per il tramite dei suoi bronzi, abitano tra noi gli dei, gli eroi, i miti arcaici d’Occidente”.